Cosa sono i giochi play-to-earn?

Il modello dei giochi play-to-earn è un concetto piuttosto nuovo (è stato introdotto da poco più di un anno), ma decisamente promettente, e forse rappresenterà la nuova frontiera nell’industria del gaming. Per sommi capi si tratta di un modello a cui si applica il concetto di “economia/finanza aperta” remunerando i giocatori che con la loro partecipazione contribuiscono allo sviluppo del gioco attraverso l’attribuzione di NFTs o token crypto.

Il mondo dei videogiochi è in costante sviluppo da oltre 50 anni ed è mutato profondamente nel corso di questo mezzo secolo. Se verso la fine degli anni 70 ed inizio degli anni 80 i videogiochi erano del genere “arcade” per cui bisognava recarsi personalmente in sale appositamente attrezzate, “le sale giochi”, per divertirsi un pò con i “cabinati” od i flipper, contemporaneamente si sviluppavano le prime consoles di gioco domestiche e/o portatili grazie soprattutto a SEGA e Nintendo. Sulla linea di quell’evoluzione, saltando fino ad oggi, la maggior parte dei videogiochi viene utilizzata da utenti di tutte le età sui propri smartphones che restituiscono un esperienza immediata e flessibile; nel contempo le consoles sono diventate sempre più all’avanguardia tecnica grazie allo sviluppo dei chipset grafici ed è stato introdotto il VR con cui interagire in modalità 3D quasi con il fisico nello spazio, attraverso visualizzatori quali Oculus od HTC.

Dai giochi su licenza al free-to-play: si parte da qui

Al fine di potersi intrattenere con un videogioco, fino a qualche hanno fa era necessario “comprarlo” ovvero pagare una licenza di utilizzo allo sviluppatore che lo aveva creato: di contro si riceveva il gioco su supporto digitale o cartuccia da poter utilizzare all’interno della propria console o del proprio PC. Soprattutto l’avvento dei giochi su smartphones ha mutato questo indirizzo, aggiungendo al modello tradizionale anche il modello di gioco free-to-play.

I giochi free-to-play sono giochi che hanno in nuce già tutte le funzionalità del gioco “completo” (non si tratta pertanto di versioni più limitate dei giochi a pagamento), ma consentono al giocatore di velocizzarne lo svolgimento, o magari di procedere più speditamente nel completamento dei livelli o delle missioni attraverso l’acquisto di oggetti o di potenziamenti attraverso il sistema degli acquisti in-app.

Per capire quanto questo fenomeno sia esteso basta pensare a Fortnite (disponibile sulle consoles e sui PC da gaming) il cui gioco è totalmente gratuito: ogni hanno genera circa 2 miliardi di dollari volume d’affari, tutto attraverso gli acquisti in-app. Allo stesso modo alcuni dei titoli più apprezzati su smartphones generano annualmente cifre da capogiro: pensiamo in questo caso a League of Legends od Heartstones. In tutti questi esempi gli acquisti in-app si polarizzano su due differenti categorie: potenziamenti e personalizzazioni.

Il modello play-to-earn ha alcune similarità con il modello free-to-play, in quanto i giochi play-to-earn si basano sul medesimo concetto di base, a cui aggiungono, ovviamente, la possibilità per i giocatori di guadagnare denaro sotto forma di token di gioco (minati in blockchain e quindi spesso scambiabili con valuta FIAT, in modo più o meno semplice, a seconda della popolarità del gioco) o sotto forma di “assets digitali” (oggetti NFT, terre NFT, solo per fare qualche esempio). Per comprendere appieno il modello di gioco “play to earn” è necessario conoscere alcuni concetti base: NFT, DeFi (Decentralized Finance) e quest’ultima nel caso dei giochi riadattata nel concetto di GaFi (Gaming Finance).

Il modello di gioco play to earn in breve

Le componenti chiave dei giochi play-to-earn

L’innovazione principale all’interno del modello di gioco in questione è la possibilità del giocatore di diventare proprietario di una serie di “assets” all’interno del gioco stesso, sviluppando i quali, sia attraverso il gameplay che attraverso lo “staking” di risorse prodotte sempre all’interno del gioco, potrà provare ad aumentarne il valore.

Per “staking” si intende una sorta di “deposito” di risorse (che possono essere token di gioco o magari risorse prodotte all’interno del gioco stesso) che per un periodo di tempo limitato non potranno essere nè utilizzate (e quindi consumate) nè trasferite ad altri giocatori, nè convertite per essere infine monetizzate. A fronte di tale deposito i diversi giochi play-to-earn offrono una remunerazione, normalmente in valore fisso complessivo suddiviso tra tutti i partecipanti allo “staking”, o sempre in valore fisso, differenziato a seconda della scarsità della risorsa posta in “staking”. Un esempio di tale utilizzo delle risorse si può trarre dal gioco “Alien Words” in cui l’utente può partecipare a missioni spaziali affittando navicelle ad un costo fisso di “Trillium” (il token utilizzato all’interno di questo gioco), costo differente a seconda della durata della missione (e quindi della durata dello staking); al termine della missione il giocatore riceverà oltre il Trillium utilizzato per l’affitto della navicella, anche una quota aggiuntiva e un NFT.

Non si tratta quindi, in genere, di una remunerazione percentuale, e pertanto non si avvicina neanche lontanamente al concetto finanziario di saggio di interesse.

Il giocatore all’interno dei giochi su modello play-to-earn ha tutto l’interesse ad essere sempre più coinvolto: più infatti parteciperà a sviluppare il gioco, o meglio l’economia del gioco, più sarà in qualche modo ricompensato dal gioco stesso. Partecipando all’economia del gioco, i giocatori creano valore aggiuntivo per se stessi, per gli altri utenti del gioco e per gli sviluppatore. Per questa raggione maggiore è il coinvolgimento, maggiori saranno i benefici che il giocatore potrà trarne: aumento del valore dei propri assets, acquisizione di nuovi assets (in genere in NFT), rendita degli assets in “token di gioco” e così via. In genere quindi il modello play-to-earn si sposa con il concetto della blockchain e dei giochi crypto, anche se ci sono degli esempi solidissimi di giochi play-to-earn senza blockchain (potremmo qui citare Second Life, che da oltre 10 anni è una comunità aperta agli investimenti ed alle migliorie introdotte dai giocatori, senza aver mai sentito la necessità di “tokenizzare” la propria valuta).

Nel modello di gioco “play to earn” gli sviluppatori premiano così i giocatori per aver investito tempo ed impegno all’interno del gioco stesso; ovviamente spesso il modello si utilizza in accoppiata con la possibilità di effettuare acquisti in-app, ma tali acquisti possono provenire direttamente dalla piattaforma (e quindi dagli sviluppatori del gioco) o da altri giocatori favorendo quindi un’economia circolare all’interno dell’ambiente di gioco stesso. Inoltre in genere gli acquisti effettuati all’interno di un gioco play-to-earn sono assets o token utilizzabili per essere investiti all’interno del gioco, e pertanto possono generare ulteriori risorse e/o profitti se opportunamente utilizzati.

Se prendiamo ad esempio il gioco  “Axie Infinity” qui i giocatori guadagnano “small love potions” (SLP), una sorta di token di gioco necessario per allevare nuove Axies, ma le SLP possono altresì essere vendute altri giocatori nel marketplaces. Potremmo fare moltissimi altri esempi, come le risorse in League of Kingdoms, o i premi che i giocatori possono guadagnare nel gioco di calcio fantasy Sorare.

Partecipare, partecipare, partecipare… per acquisire assets monetizzabili

In conclusione la chiave essenziale per cominciare a produrre risorse od acquisire assets che saranno monetizzabili (risorse che sono più o meno “liquide” a seconda della partecipazione dell’utenza al gioco stesso) è partecipare, essere coinvolti all’interno del gioco stesso.

Non crediamo che all’interno dei giochi sul modello play-to-earn ci si possa arricchire, non crediamo possa essere considerato un investimento, sia in termini di tempo che di risorse. Tuttavia siccome quasi tutti i giocatori hanno già familiarità con gli acquisti in-app, che nei giochi tradizionali e free-to-play hanno l’unica finalità di agevolare il completamento del gioco stesso, in questo caso il divertimento potrebbe quanto meno essere a “costo zero”, potendo il giocatore al momento eventuale della sua uscita dal gioco, rivendere gli assets ed i token di gioco ad altri giocatori sul mercato aperto. Ovviamente ci sono e ci saranno delle eccezioni: essere tra i pionieri di un gioco che diventi leader nel mercato (una sorta di Fortnite sul modello play-to-earn) potrebbe essere davvero remunerativo… ma a nostro avviso si tratterebbe comunque di fortuna, cosa che non ha nulla a che vedere con l’investimento, ripetiamo, sia di tempo che di risorse.

Non ci resta che augurarvi buon divertimento!

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